di carne
rosa senza spine
vorrei stringerla tra le dita
ora
Copyright
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I racconti erotici di Vuerre by Vuerre is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
martedì 30 novembre 2010
giovedì 25 novembre 2010
domenica 21 novembre 2010
La nostra panchina
Passeggiata nel parco di domenica mattina... è da tanto che non vengo qui. L'aria fredda mi punge le guance, cammino sopra un tappeto di foglie gialle... molte sono umide ed ammassate tra loro, scure...altre più chiare, si sono appena posate in terra e si muovono in ampi giri sospinte dal vento.
Poche persone in giro, qualuno porta a spasso il cane, qualcun altro sospinge pigramente un bimbo sopra un' altalena. Mi ritrovo a proseguire sul viottolo fatto di ciottoli presa dai miei pensieri, abbasso un po' la testa per evitare il vento, stringo la sciarpa attorno al collo.
Come casualmente, seguendo la stradina, mi ritrovo di fronte alla nostra panchina. Si, è proprio questa. Quella dove abbiamo rifatto l'amore dopo tanti anni, la prima volta, in una notte di giugno. Allora l'aria era tiepida, dagli alberi intorno esalava il profumo di resina, grondante in gocce attorno alla corteccia crepata dei pini. Nelle mie narici l'odore di erba ancora verde schiacciata dalle nostre impronte, della terra sollevata dai nostri passi avvicinandoci in quel punto.
La guardo, con una mano sfioro il legno leggermente umido e mi siedo.
Osservo il palazzo di fronte, le finestre vicinissime...penso alla follia di quella notte, alle mie mani sopra lo schienale mentre tu affondi dentro di me. Si, dovevamo proprio essere dei pazzi, a non curarci di niente, della gente su quella terrazza e delle voci che arrivavano fino a noi.
Ora qualche goccia di pioggia, leggerissima ed impercettibile comincia a cadere.
Apro il mio ombrellino rosso e rimango lì, seduta in silenzio a pensarti, mentre un uomo mi passa davanti, si gira e mi fissa interrogativo, come avesse visto una pazza.
Si, forse lo sono. Ti voglio bene,
Vu
giovedì 18 novembre 2010
Il ragazzo del treno II atto- prima parte
(questo racconto è il seguito de "A piedi nudi sul treno")
-Pronto? Sono il ragazzo del treno. So’ Antonio-
Antonio, lo so ora il suo nome. Ma io gli ho detto il mio? Mi pare di si, quando salvava il mio numero sul cellulare. Ed ora cosa dico? Non ho voglia di rivederlo, è stata una follia.. si, una follia. Cosa mi invento…. Sono fuori, si, fuori per lavoro. Ci sentiamo più in là. Intanto prendo tempo… ma come mi è venuto in mente di darglielo?
Antonio mi ha chiamato due volte, e tutte e due le volte gli ho detto no. Ricordo un suo
-E pecché?- Ma non esattamente cosa ho risposto… lui ha chiuso la comunicazione senza fiatare ed io mi sono sentita una stronza. Come un uomo. Come uno di quelli che vogliono solo scoparti. In realtà, mi avevano assalito i sensi di colpa, dopo. E poi... ha cominciato lui. Io me ne stavo tranquillamente seduta.
E’ passato poco più di un mese, ed oggi mi ritrovo a prendere nuovamente quel treno, allo stesso orario. Chissà se lo becco. Non sono in anticipo come l’altra volta, anzi, ho pochi minuti. Arrivo al binario ed il treno stavolta è già lì, c’è tanta gente sul marciapiede. Passo rapidamente lo sguardo su quelle teste, quei corpi che si muovono come tante formichine impazzite.
Eccolo! La sua camminata è inconfondibile… avanza con le spalle erette, il petto in fuori, la solita borsa a tracolla… i passi spediti. Accanto a lui c’è un altro ragazzo, ma non capisco se stanno insieme. La sua traiettoria si dirige verso fuori, mi oltrepassa, mi da le spalle. Non posso certo corrergli dietro, che faccio gli busso sulla schiena? No, affretto il passo e lo supero, lui si è fermato un attimo, mi giro e gli sono davanti. Lo guardo e gli sorrido senza parlare.
Lui sgrana gli occhi.
- Devi prendere il treno pe’ Torino?
- Si
Mi prende la mano e comincia a camminare speditamente, rifacendo la strada che ha appena percorso.
- Ehiii vai piano, sono in tempo! Mancano cinque minuti!
Ma che si corre! Il mio trolley slitta sul marciapiede come avesse i pattini… accidenti a ‘sti tacchi, ma un paio di scarpe basse no eh? Lui mi tira, tira… e finalmente siamo di fronte al treno.
- Aspetta che guardo la carrozza!, ti vuoi fermare un momento?
No, non mi ascolta, passa in rassegna i finestrini, le prime carrozze sono del tipo nuovo, va ancora avanti finché non trova una di quelle con lo scompartimento chiuso, i sedili uno di fronte all’altro. Sale prima di me e mi aiuta a far salire il trolley
- Ma che vuoi fare, ma ancora senza biglietto?
Non parla. Trova una delle prime carrozze vuote, ma sul treno c’è gente stavolta, è venerdì.
Siamo di nuovo uno di fronte all’altro.
- Ma m’avevi visto? M’hai cercato, mo’?
Ah ora mi dà del tu, non più del voi. Probabilmente ora appartengo alla categoria delle stronze e non merito più rispetto…
- Si, si, ti avevo visto certo.-
- E pecché quanno t'aggio chiamato m'hai detto che nun me volevi vere’?
- Perché non sarebbe più stato la stessa cosa… lo capisci?
Non so se ha capito, forse no… mi guarda perplesso. Ma non mi chiede altro. Tace.
Per rompere l’imbarazzo apro la mia borsa, ricordo di avere un pacchetto di preservativi stavolta.
- Guarda che cosa ho? Glie li faccio vedere sorridendo. Lui si alza e nuovamente mi prende la mano, mi tira fuori dallo scompartimento.
- Ma sei matto, il treno non è ancora partito! Siamo ancora in stazione, non si può andare alla toilette!
Rientriamo. Io mi siedo e lui rimane in piedi, tira la tendina, si abbassa ed affonda il viso sul mio collo, vicino all’orecchio, dandomi una serie di bacini che scendono dolcemente fino alla scollatura. Nota il livido sul mio seno.
- Ma che t’ hanno fatto? Chi è stato?
- Niente… ieri sera….
Scosta la stoffa e mi bacia proprio sul livido, delicatamente. Poi risale di nuovo sul collo, sulla guancia e infine mi bacia sulle labbra. Il treno si sta muovendo.
Uno sguardo ed usciamo dallo scompartimento, attraversiamo velocemente il corridoio.
Mi sembra di riguardare un film già visto, siamo di nuovo dentro il bagno piccolissimo. Stavolta mi bacia con dolcezza, poi mi accarezza il viso, mentre sento le sue mani che scivolano sulla stoffa della gonna, ne sollevano l’orlo fino ad insinuarsi nel mio slip.
- Ma te si’depilata! Dice ritraendo la mano dallo stupore
Ah se la ricorda bene la mia ciucia, eh? – Si
Mentre, in equilibrio instabile ed agganciandomi alla apposita maniglia tento di sfilarmi del tutto gli slip, lui comincia a ricoprire il water della carta delle salviette asciugamani… io sono perplessa… mica vorrà che mi metta qui sopra? E comunque rimango con la gonna.
In un attimo mi volto e lui è completamente nudo. Come ha fatto in pochi secondi? ha solo le scarpe da ginnastica ed è appoggiato al lavandino, la sua sacca e tutti i vestiti sono nel catino, buttati alla rinfusa.
Certo che è proprio bellino, ora lo osservo per bene, così di fronte a me… il corpo e il sesso leggermente depilati, il torace abbronzato… noto netto il segno del costume. immagino il mare, la spiaggia partenopea e lui che si gode il sole come un gatto con gli occhi socchiusi.
Ora il mio sguardo scende ad incontrare il suo cazzo. Non è eretto del tutto, ma è li offerto, che si lascia guardare, sfrontato. Risalgo con lo sguardo ed incontro i suoi occhi neri che ridono, ridono come le sue labbra.. accese dalla spudoratezza della sua età.
Piccolo scugnizzo, ce l’hai fatta anche stavolta a portarmi qui dentro eh?
Anche io sorrido, ma non posso fare a meno di posare le mie mani su di lui, di percorrere con le dita quella pelle liscia ed abbronzata, ne percepisco il calore, la sento fremere sotto il mio tocco. Il piccolo ombelico, e poi il suo sesso, turgido, lo prendo in mano ed avverto che si gonfia, le vene si tendono mentre lo accarezzo, chiudo le dita a pugno e lo stringo. Lo sento pulsare, poi allento la presa, lo tocco più lievemente sulla punta, mentre lui accarezza il mio seno, delicatamente, poi mi stringe con forza i capezzoli, sento che si induriscono mentre li prende in bocca come fossero due dolci caramelle da succhiare. Lo fa a lungo, con la tenerezza di un bimbo che mi fa sciogliere. Il mio ventre, il mio sesso palpitano e vibrano all’unisono con il suo. Avverto le sue dita che aprono le mie labbra, poi mi abbraccia forte, sento la sua erezione, il suo sesso che preme sul mio…
- Mettiti qui
Mi rigira e mi fa appoggiare sul lavandino, mi solleva le gambe, alzandomi quasi completamente e sostenendomi con le sue braccia. E così, in quella posizione mi penetra, lo sento che entra dentro di me, con dei colpi decisi che mi fanno sbattere le spalle allo specchio.
Sbam! Sbam! Sbam! Domani avrò altri lividi, lo so. Ma perché mi devono tutti massacrare? Si ferma. Ritrae il suo pene lucido dei miei umori
-Si, mi fai male così.
- Scusa
Scivolo giù dal lavandino, bisogna fare quasi un balletto per scambiarsi di posizione. Ora sono io addossata con il viso al finestrino, lui dietro di me. Mi appoggio con il corpo, con i seni a quel vetro lattiginoso.
(continua...)
domenica 14 novembre 2010
A braccia aperte
venerdì 5 novembre 2010
Facciamo la pace
Io faccio la guerra, questo è il mio modo di fare la pace. Sono due anni e mezzo che non tocco una donna, lo sai?
Posso toccarti? così… non voglio fare sesso, voglio solo questo. Voglio sentire il calore della tua pelle, voglio abbracciarti. Questa notte voglio fare la pace e dimenticare le mie cicatrici.
Vedi questa? Hanno tentato di bruciarmi, sono stati i curdi, mi volevano dare fuoco.
Appoggio le mie dita su quella grande macchia scura, ci sono dei rilievi tondeggianti.
E’ napalm. Il napalm è l’esplosivo dei paesi poveri, non lo sapevi che si usa ancora?
E questa cicatrice sulla schiena, la vedi? Mi hanno sparato, sono stati gli afgani. Alle spalle. Ma io sono ancora qui. Loro no.
Ho anche ucciso, almeno due uomini erano. L’ho fatto per difendere un altro uomo. La sua scorta non si era accorta di niente, io ero dietro di loro, ho visto quella jeep che arrivava, avevo la mitraglietta in mano ed ho sparato. Non ho chiesto permesso, ho sparato. Gli ho salvato la vita e loro sono morti. Erano in due, o forse di più.
Ho la leucemia, colpa dell'uranio impoverito, ma di questo non voglio parlarne... e non ti preoccupare, non è contagiosa. E’ nel mio sangue, nel mio midollo.
Anche la mia anima, il mio cuore è ferito. La mia donna, la donna che sognavo nelle lunghe notti, quella donna mi ha tradito. Mentre io combattevo, ero lontano per darle tutto quello che lei desiderava, mi tradiva. Tornavo da lei dopo mesi e non vedevo l’ora di abbracciarla, di sentire il calore del suo corpo. Lei no, lei aveva sempre qualcosa di meglio da fare. Poi ho capito, troppo tardi ma ho capito. Forse l’ho lasciata troppo sola, forse non le bastava quella vita.
Appoggia la testa sul mio ventre, mi guarda, tocca i miei seni, i capezzoli e li succhia a lungo.Pare riprendersi la vita che ha perduto, il tempo che non tornerà più. Poi abbraccia i miei fianchi e rimane così, con il capo appoggiato sul soffice cuscino del mio sesso.
- Che bella che sei, come sei morbida. Voglio rimanere così per ore, tutta la notte… tutta la vita… per sempre…
- Che fai, piangi?
- No, non piango. Spegni la luce.
Sento i singhiozzi soffocati sul cuscino. Gli accarezzo la testa.
- Ma cosa hai?
Domani… domani mattina tutto finirà, io uscirò da questa casa e tu ti dimenticherai di me, ed io.. io tornerò alla mia guerra.
Posso toccarti? così… non voglio fare sesso, voglio solo questo. Voglio sentire il calore della tua pelle, voglio abbracciarti. Questa notte voglio fare la pace e dimenticare le mie cicatrici.
Vedi questa? Hanno tentato di bruciarmi, sono stati i curdi, mi volevano dare fuoco.
Appoggio le mie dita su quella grande macchia scura, ci sono dei rilievi tondeggianti.
E’ napalm. Il napalm è l’esplosivo dei paesi poveri, non lo sapevi che si usa ancora?
E questa cicatrice sulla schiena, la vedi? Mi hanno sparato, sono stati gli afgani. Alle spalle. Ma io sono ancora qui. Loro no.
Ho anche ucciso, almeno due uomini erano. L’ho fatto per difendere un altro uomo. La sua scorta non si era accorta di niente, io ero dietro di loro, ho visto quella jeep che arrivava, avevo la mitraglietta in mano ed ho sparato. Non ho chiesto permesso, ho sparato. Gli ho salvato la vita e loro sono morti. Erano in due, o forse di più.
Ho la leucemia, colpa dell'uranio impoverito, ma di questo non voglio parlarne... e non ti preoccupare, non è contagiosa. E’ nel mio sangue, nel mio midollo.
Anche la mia anima, il mio cuore è ferito. La mia donna, la donna che sognavo nelle lunghe notti, quella donna mi ha tradito. Mentre io combattevo, ero lontano per darle tutto quello che lei desiderava, mi tradiva. Tornavo da lei dopo mesi e non vedevo l’ora di abbracciarla, di sentire il calore del suo corpo. Lei no, lei aveva sempre qualcosa di meglio da fare. Poi ho capito, troppo tardi ma ho capito. Forse l’ho lasciata troppo sola, forse non le bastava quella vita.
Appoggia la testa sul mio ventre, mi guarda, tocca i miei seni, i capezzoli e li succhia a lungo.Pare riprendersi la vita che ha perduto, il tempo che non tornerà più. Poi abbraccia i miei fianchi e rimane così, con il capo appoggiato sul soffice cuscino del mio sesso.
- Che bella che sei, come sei morbida. Voglio rimanere così per ore, tutta la notte… tutta la vita… per sempre…
- Che fai, piangi?
- No, non piango. Spegni la luce.
Sento i singhiozzi soffocati sul cuscino. Gli accarezzo la testa.
- Ma cosa hai?
Domani… domani mattina tutto finirà, io uscirò da questa casa e tu ti dimenticherai di me, ed io.. io tornerò alla mia guerra.
martedì 2 novembre 2010
Pelle
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